La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15041/2020, riprendendo il proprio orientamento in tema di delega in materia antinfortunistica, ha enunciato i requisiti di validità penale della delega di funzioni con particolare riguardo alla materia ambientale.
La vicenda.
Il Tribunale di Cuneo condannava due componenti del consiglio di amministrazione di una società colpevoli del reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 40 c.p., comma 2, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, per aver violato le disposizioni sul deposito temporaneo di rifiuti nel luogo di produzione.
Gli imputati erano stati ritenuti responsabili in concorso con il consigliere delegato in via esclusiva per le materie della sicurezza ambientale e dello smaltimento dei rifiuti per non aver vigilato in ordine al corretto espletamento delle funzioni a quest’ultimo delegate.
Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore degli imputati, deducendo la violazione della norma incriminatrice ed il vizio di motivazione per essere stata affermata la loro responsabilità penale, con valutazioni generiche e pretestuose, senza che fosse stato accertato il grado dell’effettiva partecipazione al reato contestato, rilevando ulteriormente che l’obbligo di vigilanza affermato dal giudice di prime cure dovesse trovare un limite nel divieto di ingerenza nella sfera del delegato.
Afferma il difensore che, tenendo anche conto delle specifiche conoscenze tecniche che richiede la materia ambientale, nulla poteva essere rimproverato agli imputati, che assolvevano al dovere di vigilanza sull’operato del consigliere delegato attraverso le periodiche riunioni del c.d.a.
La decisione.
La Suprema Corte respinge il ricorso.
Richiamando il proprio orientamento relativo ai reati compiuti in violazione delle disposizioni in materia di igiene e prevenzione degli infortuni sul lavoro, ritiene di applicare in via analogica i requisiti di validità della delega di funzioni in questo specifico settore – che poi sono stati codificati nel T.U. 81/2008 all’art. 16 – anche alla delega in materia ambientale.
In particolare, affermano gli Ermellini, per attribuire rilevanza penale alla delega di funzioni in materia ambientale è necessario che siano rispettati i seguenti presupposti:
- La delega deve essere espressa e puntuale, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale;
- Il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli;
- Il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa;
- La delega deve riguardare non solo le funzioni, ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa;
- L’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.
Proprio come previsto dall’art. 16 del T.U. 81/2008 – che si ritiene possa essere applicato in maniera analogica anche all’ambito in esame – permane in capo al delegante un obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.
Tale obbligo, tuttavia, non deve sovrapporsi con i poteri e le funzioni del delegato: il delegante ha lo specifico dovere di verificare la completezza della complessiva gestione del rischio ambientale da parte del delegato e non di gestire egli stesso il trattamento dei rifiuti.
Da ciò discende che, se il delegante abbia contezza – o possa averla, con l’uso della diligenza richiesta a chi continua a ricoprire una posizione di garanzia – dell’inadeguato esercizio della delega e non intervenga (ad esempio richiamando il delegato all’osservanza delle regole, verificando poi che questo avvenga, oppure revocando la delega nei casi più gravi o di continuato inadempimento delle funzioni) lo stesso risponde dei reati commessi dal delegato ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2.
Se anche si ritenesse di non applicare in via analogica la disciplina del T.U. 81/2008 alla materia ambientale, l’obbligo di vigilanza in capo al delegante nondimeno sussisterebbe, discendendo esso direttamente dalla legge, che, in termini non dissimili, pone tale obbligo in capo a chi professionalmente svolga attività costituenti fonte di rischio per beni primari che formano oggetto di protezione costituzionale, come l’ambiente in senso lato (art. 9 Cost., comma 2), la salute (art. 32 Cost.), l’utilità sociale e la sicurezza (art. 41 Cost., comma 2), la tutela del suolo (art. 44 Cost.).
La Corte osserva che i giudici di prime cure argomentano correttamente come gli imputati potessero e dovessero rendersi conto delle violazioni in materia ambientale commesse dal consigliere delegato.
In particolare, trattandosi di un’impresa a gestione familiare, il giudice ha precisato che, quantomeno con riguardo al deposito dei rifiuti – accatastati alla rinfusa senza essere ripartiti per categorie omogenee in vasti spazi interni all’area aziendale recintata, all’interno della quale si trovano anche gli uffici ove gli imputati svolgevano abitualmente la loro attività – fosse palese e macroscopica la violazione del richiamato disposto di legge, che poteva essere rilevata anche da chi non avesse particolari competenze tecniche.
Contrariamente a quanto allegato genericamente dai ricorrenti, la motivazione, secondo la Corte, è del tutto logica ed individua con precisione i termini del rimprovero per violazione dell’obbligo di vigilanza sul corretto espletamento della delega di funzioni nella specie commesso dagli imputati e posto a base della loro concorsuale affermazione di responsabilità.
Per tali motivi la Corte rigetta i ricorsi e condanna alla rifusione delle spese processuali.